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Voglio una vita spericolata

  • 24
  • 06
  • 2014

…sarà per questo che faccio la giornalista?

Nulla di nuovo sotto il sole, però ogni tanto giova ricordarlo: fare il giornalista significa scegliere una professione pericolosa, se non per l’integrità fisica (rammento il Libro della memoria realizzato dall’Unione Nazionale Cronisti Italiani in occasione della prima Giornata della Memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo che si è svolta il 3 maggio 2008 in Campidoglio) quanto meno per il portafoglio e per le notti insonni che si rischia di trascorrere per cause varie. E quando dico “cause” intendo quelle giudiziarie.
Oggetto di uno dei primi interventi che si sono succeduti ieri al corso di formazione organizzato dalla Struttura Stampa del Consiglio regionale della Lombardia in collaborazione con il Gruppo di Lavoro “Uffici Stampa” del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, ecco una sintesi di quanto emerso. Diffamazione a mezzo stampa: attualmente un disegno di legge approvato solo dalla Camera, elimina le pene detentive peraltro applicate solo in rarissime occasioni (ricordate il caso Sallusti?) però introduce pene pecuniarie molto severe, da cinque a diecimila euro, oltre al risarcimento del danno in caso di condanna.
Non discuto sulla necessità di punire i colpevoli, ma quello che non quadra nel nostro ordinamento, come spiegato dal relatore, è la disparità dei mezzi a disposizione. Infatti, le pene pecuniarie possono essere molto pesanti per un piccolo quotidiano di provincia che si troverebbe, in caso di condanna, a dover reperire somme cospicue da un bilancio modesto (notare che la sanzione va ad aggiungersi al risarcimento alla parte lesa).
Inoltre, cosa dire della “lite temeraria”, fattispecie che cela un intento intimidatorio, resa possibile da quel meccanismo che non sto a spiegare troppo nel dettaglio ma che consente, al presunto diffamato, di avviare contemporaneamente sia la causa civile che quella penale e di scegliere, a giochi ormai avanzati, quale tra le due percorrere perché ritiene sia quella che gli possa garantire maggiori possibilità di vittoria?
Da evidenziare inoltre il fatto che queste cause spesso sono avviate con richieste di risarcimento milionarie che, forse, nessun giudice accoglierà mai, ma certamente non conciliano il sonno al giornalista/direttore querelato.
E, ancora, qualora il presunto diffamato dovesse perdere la causa, non sarà condannato a rifondere le spese processuali. Oggi in Italia non vi è parità delle “armi” tra chi è (forse) diffamato e il giornalista.
L’interessante quanto inquietante relazione è stata magistralmente condotta dal professor Vigevani, docente di diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano – Bicocca e titolare dei corsi di diritto costituzionale e di diritto dell’informazione e della comunicazione.
Nel 2012 ha pubblicato il libro “Le regole dei giornalisti. Istruzioni per un mestiere pericoloso” (con C. Melzi d’Eril e C. Malavenda).

Non me ne voglia professore ma, in tutta sincerità, non so proprio se lo comprerò, il suo libro: la riforma Fornero – prima – e il perdurare della crisi – poi – mi fanno pensare che dovranno trascorrere ancora lunghi anni prima di poter poggiare la penna sulla scrivania, mi passi la metafora.
I sonni agitati non sono esattamente la miglior ricetta per continuare a fare quello che per molti di noi (giornalisti) non è un mestiere, ma una vera passionaccia.
Lo ammetto, sono “giornalista addicted”.

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